IL CANTO SORDO

Un urlo sordo, atono, straziante, lacera la notte. Un urlo di disperazione, non una richiesta di aiuto.
Inutile sperare di sopravvivere.
Ma la forza consolatrice di un urlo di sfogo ha sortito il suo effetto. Adesso non è più disperato, ora si sente sollevato, ora che ha preso coscienza della sua sorte, ora che sa che può. Ora che del suo urlo non rimane che uno squarcio, un eco lontano, un gemito trattenuto che non sembra più appartenergli, riesce meglio ad affrontare la situazione.
Non è mai stato nervoso, non ha mai avuto fretta nella vita, ora invece è ingordo, ora vuole assaporare il resto della sua vita.
Ma no, non voleva più pensarci, non era ancora disposto a lasciare la sua vita, quantomeno non ancora i suoi ricordi.
Perché i ricordi erano quanto gli restava, erano il premio per una vita coraggiosa, una vita che pochi avrebbero saputo apprezzare, che pochi avrebbero saputo riconoscere come piena di significato.
E intanto questo urlo si propaga, viaggia senza sosta verso un luogo lontano, verso un luogo che lui non ha mai visto né conosciuto. Ma non importa, perché sa che il suo urlo non sarà mai ascoltato, la sua sofferenza non sarà mai capita, ma il “suo” ricordo mai lo rimpiangerà.
Nasce spontaneo allora alzare le braccia al cielo, come a chiedere alla luna; Perché? Perché vivere così, essere imponente e al tempo stesso così fragile, maestoso e così in balia degli eventi, perché essere ritenuto un punto di riferimento e non avere neanche una difesa?? Ma soprattutto perché soccombere così, senza neanche la forza di lanciarlo veramente quell’urlo lacerante, che è invece rimasto strozzato, mai pronunciato, e che riecheggia unicamente nella sua mente.
Ormai il fango lo soffoca, lo crepa, lo secca . Non c’è più tempo per abbandonarsi ai ricordi, né tantomeno per i rimpianti, c’è solo il tempo per soffrire di un dolore nuovo, il dolore della rinascita, del riemergere da quel pantano, dal lavarsi da tutto questo Nun.

Ho provato a filtrare il reale attraverso il mio stato d’animo, la mia intima sofferenza, il pesante pantano della paura. Il grigiore smaltoso e la chimicità del bitume sporcano con violenza, animandosi di cruenta intensità. Ed ecco che allora, nell’impeto dell’angoscia, l’uomo che urla solitario perde ogni forma umana, diventa preda del suo stesso sentimento, tracciato, quasi senza scheletro, privo di massa delle forme. Si perde insieme alla sua voce inascoltata ed alla sua forma umana, le sue labbra nere putrescenti, le sue narici dilatate e gli occhi sbarrati o socchiusi sono testimoni di un abominio immondo. Parlo con un linguaggio unico e drammatico dell’impotenza dell’uomo di fronte alla drammaticità dell’uomo, di fronte alla quale siamo piccoli ed inequivocabilmente soli, noi uomini che viviamo del sentire dei rapporti umani.

URLO

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"Perchè..." 21x29,7 cm bitume su carta


















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"Hei..." 21x29,7 cm bitume su carta

IL CANTO SORDO

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